Quando si tratta di fotografia digitale, si sente sempre parlare di scattare esclusivamente in file raw anziché JPEG. Perché e cosa significa veramente? Finora, probabilmente hai sentito parlare di scatti digitali “raw”, ma trovare una spiegazione coerente di cosa una scatto digitale raw realmente sia può essere un tantino più difficile. Una parte della sfida deriva dal fatto che il raw non è una cosa univoca.
Per capire la natura degli scatti digitali raw, prima di tutto è importante conoscere le basi di come le macchine digitali, che scattano in raw, catturano realmente le immagini. Un file raw è una registrazione dei dati catturati dal sensore. Mentre esistono diversi modi di codificare i dati raw del sensore in file immagine raw (ad esempio il .CRW e .CR2 di Canon, il .MRW di Minolta, il .ORF di Olympus, e i vari .NEF di Nikon), in ciascun caso il file registra i dati non processati del sensore. Esistono diverse tecnologie che possono essere incluse nella categoria delle “fotocamere digitali”, ma quasi tutte quelle che scattano in raw sono del tipo “sensore a mosaico” o “color filter array” (CFA), letteralmente “disposizione di filtri colore”. Quindi, adesso vediamo come questi CFA funzionano. Un CFA è composto da una disposizione bi-dimensionale di fotodiodi che raccolgono i fotoni registrati nell'immagine. La disposizione a schiera è costituita da file e colonne – utilizzando solitamente sia una tecnologia CCD (dispositivi ad accoppiamento di carica) o CMOS (semiconduttori metallo ossido complementari) – per comporre l’immagine. In un tipico setup, ciascun elemento della disposizione contribuisce ad un pixel dell’immagine finale (fig.1).
Fig. 1 Tipica disposizione bidimensionale di fotodiodi in un CFA
I fotodiodi contano semplicemente fotoni – quando la luce colpisce il sensore, produce una separazione di cariche (sorvolo sull'aspetto puramente scientifico) che generano un corrente elettrica che è direttamente proporzionale al numero di fotoni che lo colpiscono. Infatti, il fotodiodo vede “luce” ovvero fotoni, senza riuscire a discriminarne la reale lunghezza d’onda che determina, per i nostri occhi, il reale colore. Ovvero, si costruisce una scala di intensità normalizzata che va da 0 (il più scuro, equivale al nero) a 1 (il più luminoso, equivale al bianco) e tutti i valori intermedi costituiscono non altro che la scala dei grigi, più o meno scuri a seconda di quanta “luce” (fotoni) hanno colpito il fotodiodo. Il punto chiave, quindi, è che i file raw ottenuti dalle fotocamere CFA sono in scala di grigi.
Dalla scala dei grigi ai colori Il compito dei CFA è quello di creare le immagini dalle catture raw in scala di grigi. Per far in modo che ciascun fotodiodo vede una solo determinata lunghezza d’onda, ovvero un solo colore, ogni elemento del CFA è coperto da un filtro colore (fig.2) , così che ogni elemento è dedicato alla cattura solo della luce rossa, verde o blu.
Fig. 2 Fotodiodi ricoperti dai filtri colore
Molte macchine applicano i filtri colore nel modello di Bayer. In un CFA a modello di Bayer (fig. 3) ogni fotodiodo è filtrato così che cattura solo un singolo colore della luce: rosso, verde o blu. I filtri verdi sono utilizzati in quantità doppia rispetto al rosso e al blu in quanto i nostri occhi sono più sensibili alla luce verde.
Fig. 3 CFA a modello di Bayer, ogni fotodiodo è filtrato così che cattura solo un singolo colore della luce: rosso, verde o blu. I filtri verdi sono utilizzati in quantità doppia rispetto al rosso e al blu in quanto i nostri occhi sono più sensibili alla luce verde.
Esistono altri modelli di filtri. Alcune fotocamere utilizzano i filtri CMY piuttosto che quelli RGB perché trasmettono più luce, mentre altri ancora possono aggiungere un quarto colore. Il punto in comune in tutti i CFA è che, non importa quale sistema viene utilizzato, ogni elemento del sensore cattura un solo colore. Questo significa che:
I file raw contengono informazioni riguardo la luce e anche i metadati. I metadati, parola che letteralmente significa “dati riguardo i dati”, sono generati ad ogni cattura della macchina. Sia gli scatti raw che jpeg contengono i metadati EXIF (Exchangeable Image Format) che registrano i dati di scatto come il modello della fotocamera e il numero seriale, velocità di scatto e apertura, lunghezza focale, ecc. I file raw includono anche alcuni metadati addizionali di cui i convertitori raw necessitano per processare la cattura raw in un immagine RGB. Oltre alle scale di grigi per ciascun pixel, la maggior parte dei formati raw include un “anello di decodifica” nei metadati che porta con sé la disposizione del CFA sul sensore, così da poter comunicare ai convertitori raw quale colore rappresenta ciascun pixel. Il convertitore raw utilizza quindi questi metadati per convertire la cattura raw (in scala di grigi) in un’immagine a colori interpolando le informazioni colore “mancanti” per ciascun pixel dai suoi vinici.
Fig. 4 La cattura raw viene demosaicizzata e interpretata da un convertitore raw, utilizzando parte dei metadata registrati nel file al momento dello scatto, così come gli algoritmi nel software di conversione.
Questo procedimento, noto come demosaicizzazione, è uno dei ruoli chiave che gioca il convertitore raw, ma non è l’unico.
Con le fotocamere digitali vengono utilizzati diversi set di filtri. Quindi il convertitore raw deve assegnare i corretti, specifici significati ai pixel “rossi”, “verdi” e “blu”, solitamente in un uno spazio colorimetricamente definito come il CIE XYZ, che è basato direttamente sulla percezione colorimetrica umana.
Tutti i convertitori raw compiono queste operazioni, ma per far ciò possono utilizzare algoritmi molto differenti tra loro e questo è il motivo per cui la stessa immagine può sembrare diversa quando viene elaborata con software diversi. Alcuni convertitori mappano i toni in modo più piatto per dare più libertà nell’editing mentre altri cercano di dare un aspetto più simile a quello della pellicola aumentando il contrasto della curva. In genere, non esiste una interpretazione “corretta” per un dato file raw. Le case produttrici conducono una determinazione relativamente soggettiva di ciò che sembra “meglio”, e quindi adattano il loro convertitore per produrre tale risultato. Come il JPEG differisce dal raw Quando scatti in JPEG, il convertitore all’interno della fotocamera esegue tutte le operazioni di cui si è finore discusso per trasformare la cattura raw in un’immagine a colori, quindi la comprime secondo la compressione JPEG. Alcune fotocamere lasciano scegliere all’utente i parametri per tale conversione – tipicamente, la scelta dello spazio colore sRGB o Adobe RGB, un valore di nitidezza e forse la curva tonale o i parametri di contrasto. A meno che non si abbia una precisa tabella di scatti da fare, è difficile sistemare questi parametri immagine per immagine, quindi si è costretti all'interpretazione della scena da parte della fotocamera. I file JPEG danno una limitata libertà di modifica – grandi correzioni ai toni e ai colori tendono ad esagerare i blocchi di pixel 8x8 che sono alla base della compressione JPEG – e mentre il JPEG fa un lavoro accettabile nel preservare i dati di luminanza, applica una pesante compressione ai dati colore che può portare a problemi con i toni della pelle e gradazioni morbide quando si cerca di modificarli. Quando si scatta in raw, invece, si ha un controllo unico sull’interpretazione dell’immagine per tutti gli aspetti prima menzionati. L’unico parametro della fotocamera che ha effetto sui pixel catturati è la sensibilità ISO, la velocità di scatto e il valore di apertura. Qualsiasi altra cosa è sotto controllo quando la si modifica in raw – puoi reinterpretare il bilanciamento del bianco, la resa colorimetrica, la risposta tonale, e i dettagli (nitidezza e riduzione rumore), si può anche modificare la compensazione dell’esposizione. Quasi tutte le fotocamere che scattano in raw catturano almeno 12 bit, o 4096 sfumature, di informazioni tonali per pixel. Il formato JPEG, invece, è limitato a 8 bit per canale per pixel, quindi quando si scatta in JPEG ci si sta fidando del convertitore all’interno della fotocamera che elimina un gran numero di informazioni per dare una sperata “buona” interpretazione dell’immagine. Tutto ciò viene esasperato dalle case produttrici che impongono una curva tonare abbastanza contrastata nella conversione raw-JPEG in modo da produrre un JPEG che assomigli alla realtà. Durante tale processo, si elimina circa uno stop di range dinamico utile, e non si ha alcun controllo su ciò che viene eliminato. In qualche modo, si sta tentando di arrivare alll’analogia che scattare in JPEG è come scattare con la pellicola trasparente mentre scattare in raw è più come scattare con la pellicola negativa. Con il JPEG, così come con la pellicola trasparente, si deve impostare correttamente tutto sulla fotocamera, perché c’è molto poco da poter fare successivamente. Scattare in raw invece dà una considerevole latitudine nel determinare i valori tonali, come nel negativo, e offre anche una grande libertà nell’interpretare i colori e la saturazione. Il fatto che il raw permette anche di controllare i dettagli – riduzione rumore e nitidezza – va oltre tale analogia e dà ulteriori vantaggi. Il raw offre un ulteriore vantaggio che può essere arduo da dimostrare ma è, credo, veramente senza alcun limite. Se si scatta in raw, si potrà godere di tutti gli sviluppi futuri nei convertitori raw. Magari la fotografia digitale non sarà più nella sua “infanzia”, ma non ancora raggiunto la sua “adolescenza” né la “maturità”, e chiunque abbia passato più di un paio di anni a lavorare col digitale sa che i software di sviluppo migliorano continuamente. I JPEG sono file relativamente inflessibili – potremmo vedere miglioramenti nel trattarli ma qualsiasi miglioramento sarà comunque limitato. I convertitori raw, invece, hanno passato radicali cambiamenti nei circa 10 anni in cui si sono diffuse le fotocamere CFA e c’è poco da dubitare che i prossimi 10 anni non saranno altrettanto innovativi. Scattare in raw ci permetterà di godere di tali miglioramenti non appena arriveranno.
Le informazioni qui trattate sono frutto di un intenso studio, la maggior parte delle quali tratte dal libro "Real World Camera Raw" di Bruce Fraser, pubblicato da Peachpit Press, nell'Agosto 2004. Bruce ha condotto studi sulla visione umana e su come si relazione alla riproduzione dei colori in fotografia.
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AutoreSalvatore Mannino, fotoamatore dal 2012, dedica molto del suo tempo libero allo studio delle basi e delle tecniche fotografiche. ArchiviCategorie |