La più grande differenza tra scattare su pellicola e scattare in digitale è forse il modo in cui i due diversi modi rispondono alla luce. La pellicola risponde alla luce allo stesso modo in cui rispondono i nostri occhi, mentre il silicio dei sensori digitali no. È molto importante non sottovalutare questo aspetto, che forse potrebbe sembrare di ambito troppo tecnologico e andare oltre la creatività artistica della fotografia, ma lasciatemi sottolineare le importanti implicazioni della struttura elettronica del silicio sul modo in cui impostiamo l’esposizione per le catture digitali. Infatti, se si espone il digitale allo stesso modo dell’analogico, si corrono diversi rischi nell’eccedere il range dinamico della fotocamera, creando esposizioni dove le ombre sono molto rumorose.
La pellicola simula la risposta dell’occhio umano alla luce, che è altamente non lineare. La maggior parte dei nostri sensi, infatti, mostrano una non linearità molto compressa – una compressione interna che ci permette di operare in un ampio numero di situazioni senza “sovraccaricare” i nostri meccanismi di sensibilità. Per esempio, se si prende una pallina da golf in mano e se ne aggiunge una seconda, il peso avvertito non sarà il doppio. Se si mettono due cucchiaini di zucchero nel caffè, questo non sembra dolce il doppio. Se si raddoppia il volume dello stereo, il suono non sarà maggiore del doppio. E se si raddoppia anche il numero di fotoni che arrivano ai nostri occhi, la scena sarà sicuramente più luminosa ma non del doppio. La nostra compressione interna permette ai sensi di funzionare correttamente su un ampissimo range di stimoli. Possiamo passare da una stanza molto scura alla luce del giorno senza che i nostri occhi prendano fuoco, anche se si aumenta lo stimolo luminoso per i nostri occhi di circa un fattore 10000. Ma i sensori delle fotocamere digitali mancano di questa compressione non lineare tipica della percezione umana. Questi contano solamente i fotoni in modo lineare.
Fig. 1 Le catture raw processate linearmente sembrano molto scure. Ma tutti i dati sono nell’immagine. L’istogramma della cattura lineare mostra la maggior parte dei dati confinati verso l’estremità più scura
Fig. 2 La stessa cattura processata lineare con una curva tonale appare normale. A destra la curva necessaria per applicare una correzione gamma alla cattura lineare. Dopo la correzione tonale, l’istogramma presenta una corretta distribuzione
Ciò significa che se una fotocamera usa 12 bit per codificare la cattura in 4096 livelli, quindi il livello 2048 rappresenta metà dei fotoni registrati fino al livello 4096. Questo è il significato della gamma lineare – i livelli corrispondono esattamente al numero di fotoni catturati (fig. 3).
Fig. 3 Correzione della gamma da lineare a non-lineare
La cattura lineare ha risvolti importanti per l’esposizione. Se una fotocamera cattura sei stop di range dinamico, metà dei 4096 livelli sono dedicati allo stop più luminoso, metà dei restanti (1024 livelli) sono dedicati allo stop successivo, metà dei rimanenti (512 livelli) sono dedicati allo stop successivo ancora, e così via dicendo. Lo stop più scuro, le ombre più estreme, viene riprodotto solo da 64 livelli – come mostrato nell’immagine sopra.
Cattura lineare Spesso si potrebbe essere tentati dal sottoesporre le immagini per evitare di bruciare le luci, ba facendo così, si stanno in pratica sprecando molti dei bit che la fotocamera cattura, correndo il rischio di introdurre molto rumore nei mezzi toni e nelle ombre. Se si sottoespone nel tentativo di mantenere le alte luci, e quindi ci si trova ad aprire le ombre nella conversione del raw, si devono allargare quei 64 livelli nello stop più scuro su un range tonale più ampio, che aumenta il rumore e provoca la posterizzazione. Una corretta esposizione è importante nel digitale tanto quanto lo è nell’analogico, ma nel mondo digitale esposizione corretta vuol dire mantenere le alte luci il più possibile prossime all’estremità destra, senza bruciarle. Alcuni fotografi parlano di ciò come “Esporre a destra” poiché vogliono essere sicuri che le alte luci cadano quanto più a destra possibile. È da notare che l’istogramma in-camera mostra l’istogramma della conversione in-camera a JPEG (fig. 4): un istogramma raw sarebbe piuttosto strano, con tutti i dati confinati all’estremità delle ombre, per questo le fotocamere mostrano l’istogramma dell’immagine dopo processata utilizzando le impostazioni base. La maggior parte delle fotocamere applicano una curva ad S molto accentuata ai raw così che i JPEG siano quanto più simili alla risposta della pellicola, con il risultato che l’istogramma in-camera spesso ci dice che le alte luci sono bruciante quando, in realtà, non lo sono.
Fig. 4 Guardare l’istogramma in camera offrirà solo un’idea generale dell’esposizione
Esiste un ulteriore fattore molto importante che gioca un ruolo chiave nell’esposizione quando si scatta in digitale. La risposta di una fotocamera impostata a ISO 100 è molto simile a ISO 125 o anche 150 (oppure anche a 75). Vale la pena spendere qualche parola nel determinare la reale sensibilità della fotocamera a diversi valori ISO, e capire fin quando fidarsi dell’istogramma in-camera che mostra il taglio delle alte luci. Fatto ciò, si possono apportare le adeguate correzioni di esposizione per essere sicuri che si stia sfruttando al meglio i bit disponibili.
Vale la pena ricordare, a proposito di questo argomento, uno dei punti più forti di Adobe Camera Raw, l proprietà di recupero estesa delle alte luci, che entra in gioco quando si diminuisce l’esposizione a valori negative. La maggior parte dei convertitori raw perdono le alte luci quando si ha già un canale bruciato, ma Camera Raw fa del suo meglio per ricostruire i dettagli delle alte luci da un singolo canale. In base al modello della fotocamera e alla temperatura colore impostata, si può recuperare fino ad uno stop intero di alte luci, anche se il valore tipico è circa un terzo di stop. Se si usa Camera Raw, vale quindi la pena condurre degli esperimenti sull’esposizione e spendere del tempo a capire fino a che punto “spremere” l’esposizione.
Le informazioni qui trattate sono frutto di un intenso studio, la maggior parte delle quali tratte dal libro "Real World Camera Raw" di Bruce Fraser, pubblicato da Peachpit Press, nell'Agosto 2004. Bruce ha condotto studi sulla visione umana e su come si relazione alla riproduzione dei colori in fotografia.
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AutoreSalvatore Mannino, fotoamatore dal 2012, dedica molto del suo tempo libero allo studio delle basi e delle tecniche fotografiche. ArchiviCategorie |